La Campania è da sempre la madre patria della giacca da uomo e dell’eleganza maschile in generale. Quando si pensa alla giacca napoletana viene in mente la figura del sarto, della manica a camicia e di tutte quelle caratteristiche che hanno reso questo capo un must a livello internazionale. Ma la Campania non è solo tradizione ma anche e soprattutto innovazione. Ecco perché mi piace raccontarvi di una azienda che ha saputo mixare, con arte ed abilità, questo binomio attraverso la realizzazione di capi mai banali, frutto di ricerca, sperimentazione e soprattutto passione ed amore. La Biagio Santaniello si trova in provincia di Salerno e precisamente a Baronissi. Siamo in quel lembo di terra baciato dal sole da dove inizia una delle costiere più note ed invidiate al mondo. Qui i colori del mare e delle variopinte ceramiche di Vietri si perdono in quel profumo del giallo dei limoni che sovrasta perfino il ricordo. La Biagio Santaniello viene fondata, ormai oltre 50 anni fa, da Biagio e Carmela Forino, lui sarto e lei pantalonaia….e galeotto fu il pantalone! Una azienda strutturata e solida che inizia proprio dal pantalone per poi realizzare anche la giacca. Oggi conta circa 116 dipendenti e non ha perso il carattere familiare anzi di questo ne fa vanto ed orgoglio. Al suo interno ci sono i figli Antonio, che si occupa dello stile e commerciale, Giuliana, parte amministrativa insieme alla cognata Monica, ed infine Carmine modellistica, produzione e social, l’ultimo di casa ma il tassello finale di questo mosaico e storia tessile familiare. In produzione ogni giorno trovi sempre i fondatori sia Biagio che Carmela che, con il suo sguardo attento ed esperto, controlla la qualità di ogni singolo pantalone, inutile il pantalone ce l’ha nel sangue! Diamo un po’ di numeri. Da Biagio Santaniello si producono circa 1000 pantaloni al giorno e 250.000 in un anno, 200 giacche al giorno e 40.000 all’anno. Attualmente presenti in Francia, Belgio, Olanda, Germania, Danimarca, Giappone, Corea.

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Da sinistra: Antonio, Carmela, Biagio, Giuliana, Carmine Santaniello

Tra Antonio e Carmine ci sono circa 18 anni di differenza ma quando li senti parlare capisci che hanno in mente uno stesso progetto e visione d’insieme, pur non mancando a volte vedute diverse ma che fanno nascere dallo scontro solo idee e nuove prospettive. Per questo motivo ho deciso di fare una intervista doppia per capire fino in fondo come nascono e si sviluppano le collezioni Biagio Santaniello.

Antonio Santaniello si definisce imprenditore del settore tessile. Frequenta la ragioneria e poi dei corsi alla Bocconi con indirizzo economico, ma ha da sempre il pallino per la moda. “Sin da piccolo andavo in azienda, era la nostra casa, i nostri genitori vi trascorrevano tante ore. Io seguivo mio padre, mi è sempre piaciuto il suo lavoro”. Entra in Biagio Santaniello alla fine degli anni ’80 “si realizzava all’inizio un prodotto sartoriale. Oggi conserva sicuramente questi canoni ma con uno sviluppo verso tessuti, trattamenti rivolti alla ricerca di un nuovo concetto di sartorialità. Il fatto a mano lo trasmettiamo attraverso la realizzazione di capi con molti passaggi manuali che sono molto evidenti. Ad esempio i tagli, oppure la modellistica che deriva da quelli che erano i vecchi modelli sartoriali dell’azienda, naturalmente aggiornati perché la vestibilità cambia spesso. Se prendiamo un pantalone si notano i passaggi a mano: la cintura a mano con i soffietti, attacchiamo il bottone con il gambo anche sul pantalone, facciamo tutte le tasche esterne, il cavallino esterno e sagomato, facciamo molte fasi di pre stiro durante la fase di confezionamento, all’interno della cintura utilizziamo ancora il bindello quindi non mettiamo l’adesivo, attacchiamo i passanti con i cavallotti fatti a mano”.

Antonio Santaniello

La giacca Biagio Santaniello rispecchia i canoni della tradizione napoletana? “Abbastanza anche se quando ho iniziato a fare le collezioni fin da subito mi sono voluto sganciare da un prodotto molto connotato perché ho sempre pensato che il prodotto deve essere un po’ più internazionale e quindi avere un profilo diverso meno campano possibile. Con ciò non voglio dire che non sono legato alla tradizione o alla Campania, ma volevo creare un prodotto che avesse una sua propria immagine. Della tradizione conserva ad esempio la manica completamente svuotata e cucita a camicia, facciamo il cran molto alto, la tromba manica un po’ più aperta per dargli l’effetto a sbuffo. Se si guarda una nostra giacca abbiamo evitato quei tratti troppo Campani come il rever molto largo, l’abbottonatura un po’ più bassa. Io nei primi approcci lavorativi mi resi conto che per alcuni paesi, come il nord Europa, certe cose possono essere oggetto di contestazione perché valutati come difetti, anche se non lo sono, e da lì ho intrapreso la strada di dare alla giacca una connotazione più pulita e meno partenopea”.  

Il cliente orientale predilige la giacca italiana e in particolare partenopea perché è il cliente più legato al nostro modo di vestire, il cliente asiatico è il più attento alla sartorialità dei capi, però anche loro vogliono una sartoria che si aggiorni che non resti legata a delle vestibilità che dopo un po’ risultano vecchie, o delle costruzioni pesanti. “Molto spesso la sartoria ha questo atteggiamento di non discostarsi dai canoni tradizionali. Il prodotto deve cambiare così come cambia la società, col cambiamento dei costumi, non deve legarsi mai ad un modo di costruzione”.

Come nasce una collezione? “Guardandoti intorno. Io in realtà sono molto curioso, osservo molto, alcune volte non so neanche spiegarmi come arrivo ad un risultato finale, parto da degli spunti, ad esempio una mostra, un viaggio e da lì inizio a montare il puzzle, viene fuori una sequenza di cose. Mi piace molto l’architettura e l’arte che influenzano spesso le mie scelte. Qualche anno fa feci una collezione con i painting ispirandomi a Pollock, altra volta mi ispirai al brutalismo e da lì sono nati i disegni geometrici che poi ho riportato sul tessuto. Segui un percorso che si costruisce il più delle volte nella tua mente quasi involontariamente”.

Chi è l’uomo che indossa Biagio Santaniello? “Proprio per quanto detto, che la sartoria che intendo io deve essere moderna, che si mette in gioco, che ha dentro di se il desiderio sempre nuove ispirazioni, il nostro uomo è giovane. Il mio desiderio è quello di portare la sartoria addosso ai ragazzi che indossano jeans e sneakers. Il capo deve essere fruibili da più persone”.

Tessuto preferito?  “Ce ne sono tanti, a me piace proprio in generale il tessuto perché è quello che determina il carattere e la personalità dell’abito. Il tessuto è l’anima dell’abito”. Colore preferito? “Giallo perché mi accompagna in tutte le collezioni, ovviamente con tonalità e sfumature diverse in base alla collezione”. Com’è per te un uomo elegante? “Quello che è a suo agio con l’abito che indossa. L’uomo elegante non deve essere uno che deve strafare. Molto spesso dico alle persone, che mi chiedono consigli, di creare un look adatto a se stessi. Deve venire fuori la tua personalità dall’abito, senza mai eccessi perché l’eleganza non è eccesso”.

Cosa ne pensi dei pavoni del Pitti Uomo? “Il fotografo bravo fa già una certa selezione. In alcuni momenti si vedono eccessi che sembrano da circo equestre, diventano a dir poco ridicoli. Ma nella maggior parte dei casi ci sono addetti ai lavori, è gente che ha una sensibilità, colgono quelli che sono i cambiamenti della società”.

Esiste un uomo a cui ti piacerebbe vedere addosso la tua giacca? “Noi dobbiamo vestire l’uomo comune, non c’è uno in particolare. Ho degli idoli, a me piace tanto Gianni Agnelli ed a Lui forse avrei voluto fare una giacca, ma proprio perché era una persona che nella sua normalità diventava innovativo. Era così da sempre non si era costruito una immagine, quella era la sua personalità”.

Cosa non dovrebbe indossare un uomo? “La gonna. A qualche Pitti forse l’ho vista. Scherzo! Non so dirti con precisione proprio perché occorre essere aperti. Tutti criticano la calza bianca a me non dispiace se abbinata in un certo modo, ad esempio messa sotto un abito di lino ecru.  La stessa può essere usata male, se viene messa sotto un abito blu o con pantalone nero. Ma con sneakers e denim ci sta. Il bello ed il brutto lo determina sempre chi lo indossa”.

Il covid cosa cambierà nella moda? “Credo che abbia solo accelerato quel cambiamento che era già in atto. Andremo sempre più incontro ad una moda più responsabile, nel senso che avremo un consumo non elevato di prodotto ma responsabile, dove si compreranno prodotti più di qualità e meno quantità, nel rispetto dell’ambiente. Noi siamo uno dei settori che inquina molto. Anche noi utilizziamo tinture ecologiche. Stiamo utilizzando ad esempio i copri abiti riciclabili, i pendagli con carta riciclata, in alcuni casi anche i bottoni in pasta riciclata. Stiamo cercando dove possibile di fare attenzione all’ambiente. Noi abbiamo fatti addirittura una linea che si chiama respect dove utilizziamo tutte lane riciclate, cotoni ecologici, dove tutti gli accessori sono riciclabili”.

Tuo sogno? “Difficile da dire. Fondamentalmente quello di portare vanti l’azienda di famiglia nel miglior modo possibile e di trasferirla a nuove generazioni. L’obiettivo comune è quello, cercare di dare un senso a tutto il lavoro che è stato fatto”.

Carmine Santaniello

E’ il turno di Carmine Santaniello, il più giovane della famiglia, 33 anni professione: imprenditore tessile. Laureato in giurisprudenza “sono arrivato in azienda perché ero da sempre appassionato al mondo del fashion. Da piccolo trascorrevo molto tempo in azienda, il pomeriggio dopo lo studio. Mi piaceva l’idea di conoscere il diritto ma l’amore per la moda è innato, ne ho sentito parlare da quando sono nato e…poi cresci con abbinamenti colore e tessuti. Mi piace tutto quello che circonda questo mondo, cioè il bello a 360 gradi”. Dopo gli studi Carmine frequenta un master in modellistica e confezione a Napoli presso l’Accademia della Moda. In azienda si occupa proprio della modellistica, oltre che della produzione “ho scelto la modellistica anche perché era una figura che mancava all’interno dell’azienda e poi papà nasce come sarto, quindi si era occupato sempre lui di questo settore. Una esigenza aziendale da cui si sviluppa una bellissima esperienza, approfondisci quello che sono le forme dell’abito, della fisionomia, di tutto quello che c’è bisogno per costruire un capo.  Gli imput arrivano da mio fratello Antonio che segue lo stile, e da questi si sviluppa quella che è la modellistica in base alle necessità del momento”.

Per la modellistica a cosa ti ispiri? “Un po’ a tutto. Da altri tipi di moda, da quelli che sono lontani dal nostro mondo. Il mio occhio cade, anche per questioni di età, sullo street wear e sulle nuove tendenze come la sneakers che è entrata con forza anche nel mondo del sartoriale. Guardo a questo mix di tendenze. Il fatto di avere 18 anni di differenza con mio fratello porta certo a degli scontri ma anche alla crescita di entrambi, soprattutto mia che sono entrato nel mondo aziendale più tardi. Devo ammettere che forse è un vantaggio perché copriamo due mondi diversi, due occhi su due mondi. Tra Noi vince, si fa per dire, chi ha ragione, cioè quel che si vende”.

Carmine si occupa sia delle campagne pubblicitarie che della parte social della Biagio Santaniello. Che peso ha il social e come può aiutare l’azienda? “E’ difficile dirlo perché attualmente siamo ancora all’inizio in questo mondo, al momento i risultati non sono tangibili il che rende ancora più difficile crederci e portare avanti questo progetto. Però credo sia fondamentale perché ci permetterà di far conoscere il mondo Biagio Santaniello dall’interno e quindi avvicinarci al consumatore finale. Forse 20 anni fa era impensabile perché c’era tutto un percorso da seguire: più complicato, costoso e lungo. Sui social arrivi al consumatore”.

Sia le campagne pubblicitarie che la comunicazione è pianificata in sintonia con la famiglia “ci diamo una mano su qualsiasi cosa, poi ognuno di noi ha dei ruoli. Negli ultimi due anni mi occupo di tutto: location, modelli. Mi piace molto questa parte creativa del mio lavoro. Si parte sempre dall’idea che si vuole trasmettere al consumatore. Ad esempio ora abbiamo scattato l’invernale che segue il tema, già affrontato con la primavera estate 2020, quello di trasmette un concetto di vita italiana. Quindi vado alla ricerca di location prettamente italiane senza però cadere nel pittoresco. Abbiamo scattato a Roma, a Napoli, in costiera, in luoghi che potrebbero essere ovunque in Italia, ma solo in Italia e non identificabili in un luogo preciso. Noi non facciamo un prodotto che rispecchia la tipica sartoria napoletana. Non che essa sia antica ma segue dei canoni che sono precisi e pedanti. Vogliamo trasmettere quelle che sono le caratteristiche di costruzione ma con una immagine diversa. Ad esempio i colori della nostra collezione non sono quelli tipici della sartoria napoletana, i nostri capi sono molto più moderni”.

Cos’è per te l’eleganza? “Portare qualcosa che ti fa stare a tuo agio”. Carmine mi risponde allo stesso modo di Antonio, neanche se si fossero parlati prima. Così come quando gli chiedo che cosa non vorresti mai vedere addosso ad un uomo lui con tono pacato mi risponde “Non c’è qualcosa, no”. Perfino stessa veduta sulla calza bianca “abbinata bene ci sta. E’ nell’insieme che deve stare bene il tutto. Anche su un abito non sta male, ad esempio su un abito colore beige o crema io la metterei. Non la preferisco ma nulla vieta di indossarla. Il gusto mio e di mio fratello è molto simile, anche se visto con qualche anno di differenza. Io non arrivo su alcune cose e lui su altre. Io ad esempio su come abbinare una cravatta mentre lui prende spunto da me per una sneakers. Siamo due generazioni che entrano in sintonia e si completano, con un solo obiettivo. Nel nostro dna c’è sempre un qualcosa di sartoriale, vista la storia di papà, Io da ragazzo portavo il pantalone con le pence mentre i miei coetanei portavano i jeans con le scritte D&G sul retro del pantalone”.

Un progetto comune ed una visione comune quelli di Carmine ed Antonio.

Accessorio della moda a cui sei legato? “Sono fissato per le borse. Tutti i tipi: borsa da lavoro, zaino, da viaggio, mi piacciono tanto. Sono utili, pratiche, trovare quella giusta per quello che devi fare piò cambiare la giornata”. Tessuto preferito? “No, forse potrei dirti quelli che mi piacciono in questo momento: le lane. Negli ultimi 5 anni sono state per me una scoperta arrivando da un mono di felpe e jeans, e scoprire la comodità e praticità della lana anche d’estate. A 20 anni non ci pensi, non ti ci avvicini, anche per una mancanza di conoscenza. Nel tempo ci si evolve in base alla propria vita ed esperienze. Il percorso che ti porti dietro lo trasmetti nel mondo del vestire. Siamo molto influenzati da quello che ti capita nella vita”.

Colore preferito? “Blu, ma soprattutto il nero mi piace molto perché lo trovo di rapido abbinamento, pratico. Il vestirsi bene non deve occupare molto tempo, altrimenti puoi perdere esperienze di vita per colpa del vestire bene”. Persona a cui ti piacerebbe vedere la tua giacca? “Ce ne sono varie, ad esempio mi sarebbe piaciuto realizzare una giacca per Dalì in lino colorata”.

L’arte ha un posto nella tua vita? “Sono un grande appassionato di fotografia e devo ammettere che influenza molto per abbinamenti e colori”. Hai un sogno? “Creare un brand riconosciuto a livello mondiale. Prossimo obiettivo è un mono marca Biagio Santaniello in Italia a Milano”.

Sono le ore 16 devo scappare in stazione per evitare di perdere il treno delle 17 perché in città si inizia a festeggiare per la Salernitana in serie A. Ma prima di partire un rapido tour nel caveau delle giacche e pantaloni della Biagio Santaniello. Come portare un bambino in un negozio di giocattoli! I miei occhi non si fermano un momento: una sequenza di cappotti, giacche e pantaloni dai tagli e colori accattivanti. Porto via con me l’immagine e la storia di una famiglia ed impresa tessile di quelle che fanno grande la nostra Italia e, perdonate il patriottismo, di quel Sud fucina di ingegno e saper fare.